• Interno dell'Hotel Falconi

L'OMBRA DI NAPOLEONE AL PALAZZO FALCONI DI FIUGGI

Una pesante bruma novembrina fluttuava tra i folti boschi di castagni che, sonnolenti, ricoprivano la valle Anticolana e, in alto, un borgo, tipicamente medioevale, si ergeva al di sopra dell'umida densità.

Lungo l'erta e impervia strada che menava al borgo antico, alcuni villici anticolani, in quell'umido pomeriggio autunnale del 1810, spingevano a fatica gli asini carichi di sarmenti sta­gionati, quando d'improvviso, apparizione fantastica, su bal­danzosi cavalli scorsero cinque soldati dell'esercito Imperiale francese, diretti verso Anticoli.

I gendarmi e i gabellieri di guardia alla Porta della Bar­riera, a tanta vista, spalancano, timorosi e ossequienti, la porta d'accesso al borgo e i cavalieri domandano del Palazzo Falconi.

Immediatamente i cinque vengono condotti al Palazzo il cui Signore, subitamente avvisato, si mostra grandemente di­sposto alle loro richieste.

Dopo aver visitato il Palazzo, indicato le loro preferenze e lasciato ben precisi ordini, i messi imperiali ripartono al galoppo.

Don Pietro Falconi, il Signore del Palazzo, visibilmente emozionato, impartisce immediatamente alla servitù l'ordine di allestire un'ottima cena, di accendere i fuochi e soprattutto mettere in ordine la migliore stanza per poter ospitare niente­meno che l'imperatore di Francia Napoleone Bonaparte.

In pari tempo, dell'avvenimento viene data notizia ai notabili del paese: l'arciprete, lo speziale, il delegato municipale, il capo della gendarmeria e molti altri e, tra questi, un pittore che in quel tempo stava affrescando alcune cappelle gentilizie nella Chiesa di S. Pietro.

Nel breve spazio di poche ore tutto fu pronto per la regale accoglienza e nel Palazzo Falconi, tutto pavesato a festa, illuminato da centinaia di lumi e di fiaccole, i fuochi crepitanti nei caminetti, la cucina tutta olezzante di acri e appeti-tosi profumi, la notabile rappresentanza anticolana attendeva tutta compunta l'arrivo del Grande Corso.

Fuori la nebbia si era diradata, ma una pioggia fitta e gelida ritmava una musica monotona sull'acciottolato della piazzetta e dei vicoli antistanti il Palazzo.

Ogni tanto gli stanchi passi delle «scolte» rintronavano gli cupi fin sull'androne per annunciare sconsolati che ancora nulla era in vista. Il tempo, inesorabile trascorreva, la pioggia continuava

a cadere lenta e monotona e gli invitati al ricevimento, cominciavano a dare segni di stanchezza e di inquietudine vieppiù rafforzata dai fumicanti aromi provenienti dalla cucina.

Nella sala centrale del Palazzo, ov'era un ampio focolare, vivide fiamme si innalzavano nel camino, spandendo un dolce e invitante tepore fin agli scanni addossati alle pareti e disposti in semicerchio davanti al crepitare del fuoco.

Pietro Falconi, l'anfitrione, non stava fermo un attimo, usciva fin sul portone e rientrava nella vana speranza di poter dare l'auspicato e tanto desiderato annuncio dell'arrivo di Napoleone, ma inutilmente!

Si era intanto giunti alle ventidue e dell'imperatore nessuna nuova; gli astanti allora cominciarono a prendere posto sugli scanni e tra un bicchiere di buon vino delle Piagge, una storiella e qualche salsiccia allo spiedo, dimenticarono l'Im­peratore.

Frattanto anche mezzanotte era passata e solo Napoleone non passava mai.

L'Arciprete per primo, il più anziano, non resse ulterior­mente all'attesa e decisamente, reclinò il capo sulla spalliera di uno scanno e diede inizio al suo meritato riposo. Il sonno, come lo sbadiglio, è contagioso, e così, uno ad uno, i notabili invitati, non ebbero più ritegno, tanto che verso l'una tutti erano beatamente in braccio a Morfeo.

Tra tutti i presenti, l'unico che resistette alla tentazione fu Mastro Ubaldo, il pittore, il quale, mentre nella grande sa­la centrale ronfi e sibili solfeggiavano uno strano concerto, si trasferì in una sala attigua.

Tutti dormivano ma Mastro Ubaldo, con la sua tavolozza e i suoi pennelli, compiva un capolavoro: tra le decorazioni floreali e arboree di una parete, dipingeva, come un'ombra la figura di Napoleone.

Verso le quattro del mattino quando le membra indolen­zite degli assonnati notabili cominciarono a dar segni di ri­sveglio, Mastro Ubaldo a mò di scherzoso rimprovero, disse agli amici che mentre loro dormivano Napoleone era giunto al Palazzo, aveva consumato un lauto pasto, aveva riposato e poi era ripartito senza voler disturbare nessuno ma lasciando un suo duraturo ricordo.

La subitanea reazione fu un muto e stizzoso stupore, mi­sto di alterne incredulità.

Poteva essere anche vero! Tanto più che nelle lunghe ore di attesa avevano potuto farsi una cultura storiografica e bio-grafica di Napoleone, dialogata alla perfezione da quell'uomo erudito che era l'Arciprete Genesio Terrinoni, il quale, tra l'altro aveva ricordato una celebre frase dell'allora generale Bonaparte pronunciata durante la campagna italiana del 1796-1797: «Vedevo il Mondo fuggire sotto di me come se fossi tra-sportato da ali per l'aria».

Naturalmente gli illustri invitati, riproposero alla loro immaginazione la significativa e allegorica affermazione napoleonica, e pensarono che veramente l'Imperatore avesse, nella occasione, adoperato le sue ali.

Fra l'incredulità e lo stupore Mastro Ubaldo invitò allora gli amici a trasferirsi nella sala attigua ove fece loro vedere l'ombra che l'illustre ospite aveva voluto lasciare a conferma e a ricordo della sua fugace visita.

Grande fu la meraviglia dei notabili quando in effetti, potettero vedere con stupore, tra i dipinti della parete, l'ombra di Napoleone, ombra che ancora oggi può essere ammirata dai visitatori e che sta a testimoniare un lontano episodio di vita paesana cresciuto all'ombra di un mito personale avvincente, capace, ancora oggi di protrarre una proiezione ideale e immaginaria.

storia elaborata sulla scorta di documentazioni e indagini da CARLO D'AMICO

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